Esiste un momento che definisce il resto della nostra vita? Un uomo, destinato ad una vita mediocre, si trasforma e diventa lo spacciatore più famoso della città.
Diventa elegante negli abiti e nei modi, mentre perde ogni forma di pietà, di innamoramento, di sensibilità.
Incrocia in un’ora e mezza tutte le possibili metamorfosi della sua personalità, personaggi affetti da una malvagità senza redenzione, in una spirale crescente di tensione e un finale distruttivo come sempre lo è la verità.
Questo racconto si posiziona nella sottile linea di confine tra l’ironia del male e la tristezza del bene, in una lenta e inesorabile discesa tra assoluzione e dissoluzione. È una tragedia greca che vive di equivoci e di perverse casualità. Il mondo in cui i personaggi si muovono è il luogo dell’inverosimile, dell’incanto racchiuso da una palla di neve di vetro. È un film surrealista girato quasi totalmente all’interno di un ristorante, dove le devianze umane vanno in scena. Quello che il film ci propone è una visione del mondo solo attraverso i sensi. È il Conte di Montecristo, dove la sensibilità non percepisce la realtà così com’è, ma è elaborata attraverso la propria coscienza. Non esiste una sola verità. Ognuno guarda la propria parte di storia, senza mettere a fuoco l’intera situazione che porterà all’apocalisse. È tutto una messa in scena, è un labirinto di finzioni. E la vita, come scrive Italo Calvino, non è altro che un passaggio da un labirinto all’altro. Costumi e scenografie aiuteranno a creare un ambiente surreale, senza tempo, senza giudizio, senza etica. Tutto è solo estetica. Un caleidoscopio di personaggi crea una pluralità di racconti apparentemente staccati tra loro. Senza saperlo entrano gli uni nella storia dell’altro. Tutti inconsapevolmente scivolano in una bolla, in un destino che in un’ora e mezza li porterà verso un tragico finale. È una spirale dantesca in un crescendo di tensione. È la banalità del caso che fa incrociare storie lontanissime.