Clarissa, un’avvocata in viaggio per lavoro, viene fermata a un posto di controllo doganale. Quella che sembra una routine si trasforma presto in un interrogatorio sempre più invadente da parte di due agenti, Gianluca e Mathieu. Dietro l’apparente normalità, Clarissa nasconde un segreto: nel bagagliaio della sua auto, dentro una valigia, si cela un bambino. La scoperta sconvolge gli equilibri e innesca una catena di reazioni istintive e drammatiche. In un crescendo di tensione, il confine fisico si trasforma in metafora di quelli morali, tra legalità e umanità, tra dovere e compassione.
Oltre il confine nasce da un’urgenza condivisa: raccontare l’ambiguità di un tempo in cui i confini, che per la nostra generazione Erasmus sono sempre stati sinonimo di apertura, mobilità e scambio, tornano a chiudersi. In un’Europa attraversata da paure, crisi migratorie, derive securitarie, ci siamo chiesti quanto a lungo potremo ancora dare per scontata la libertà di movimento. Il nostro film parte da una situazione quotidiana e la carica di tensione e ambiguità, mettendo in scena un confine fisico che diventa spazio di controllo, resistenza, scelta. Clarissa, la protagonista, compie un atto che interroga le nostre certezze: è un reato, o un gesto di umanità? Con uno sguardo asciutto, senza moralismi, volevamo lasciare che a parlare fossero i silenzi, i dubbi e le crepe di un’Europa che forse non è più quella che abbiamo conosciuto.